È difficile capire qualcosa del salario minimo e della
configurazione dell’economia oggi se non si affronta il tutto in maniera
macroscopica: mi ha stupito molto vedere una redazione solitamente
ottima come quella di Falò ignorare gli elementi davvero importanti
della discussione. E quali sono questi elementi? Sono ad esempio il
fatto che in nemmeno due anni la ripartizione della ricchezza abbia
portato da 80 a 8 le persone al mondo che possiedono quanto 3.5 miliardi
di altre; oppure che solo in Svizzera, proprio nell’anno delle manovre
di rientro, il capitale delle 300 persone più ricche sia salito da 614 a
674 miliardi, aumentando cioè di 60! Ecco: queste sono le basi da cui
partire per affrontare il tema del salario minimo.
Mi pare
piuttosto assurdo, infatti, che dopo anni di difficoltà e di tagli
addebitati a quell’entità a quanto pare naturale, spontanea e senza
responsabili chiamata “crisi” si debba notare che invece la ripartizione
della ricchezza sia andata costantemente a rimpolpare le casse dei più
ricchi, svuotando di fatto quelle del ceto medio e naturalmente dei più
poveri. Ma soprattutto è assurdo che la crisi non colpisca i ricchi!
Non dobbiamo dimenticare ad esempio che solo qui in Ticino ci sono 83mila beneficiari di sussidi di cassa malati e che per quanto si sforzino di mantenere bassi i dati SECO sulla disoccupazione, tutti gli altri indicatori dimostrano la stessa dinamica macroscopica che sta piegando il mondo: l’assistenza sociale che raddoppia in 5 anni, idem la sottoccupazione, come pure la crescita della povertà e del rischio di povertà... Senza dimenticare che malgrado i proclami, gli stipendi ticinesi, oltre a essere i più bassi della Svizzera, sono anche diminuiti in molte categorie.
Non dobbiamo dimenticare ad esempio che solo qui in Ticino ci sono 83mila beneficiari di sussidi di cassa malati e che per quanto si sforzino di mantenere bassi i dati SECO sulla disoccupazione, tutti gli altri indicatori dimostrano la stessa dinamica macroscopica che sta piegando il mondo: l’assistenza sociale che raddoppia in 5 anni, idem la sottoccupazione, come pure la crescita della povertà e del rischio di povertà... Senza dimenticare che malgrado i proclami, gli stipendi ticinesi, oltre a essere i più bassi della Svizzera, sono anche diminuiti in molte categorie.
Per cui dove sta il problema? Il
problema sta in quel “libero mercato che si regola da solo”, ma che in
realtà non si regola da solo. O meglio lo fa, ma non secondo parametri
sociali, bensì seguendo l’unico comandamento dell’economia moderna e
cioè quello di fare utili.
Infatti il libero mercato non si regola da solo, ma si muove secondo chiare regole di sfruttamento: chi ha soldi può permettersi le schiere di fiduciarie e avvocati preposti all’”ottimizzazione fiscale”, quella che ad esempio iscrive oltre mille ditte nel database di Panama Papers create dalla sola zona del Luganese, ma anche quella che fa spostare il domicilio di Belen in Ticino perché è bello il paesaggio, ma anche perché si pagano meno tasse.
Tutte pratiche che evidentemente un cittadino o una azienda normale non possono fare. Per cui notiamo che già per quanto riguarda la disponibilità di mezzi nel rapportarsi all’economia c’è una sproporzione non democratica: come dicevo nessun cittadino “normale” può permettersi certi servizi da parte di avvocati e fiduciarie per “ottimizzare” la propria posizione fiscale.
Così l’economia gioca solo al ribasso: sta qui finché vale la pena, poi si sposta dove ci sono condizioni migliori, e fiscali e purtroppo in base alla disponibilità di manodopera a basso costo: la delocalizzazione in Paesi dove la manodopera costa pochi euro è una pratica molto diffusa, che di fatto pone ogni Stato in una posizione di concorrenza rispetto all’intero mondo! Ed ecco perché non è possibile affrontare il problema dei salari e dell’economia in generale solo localmente: servono leggi internazionali che fermino questo costante gioco al ribasso e soprattutto applicato all’intero mondo.
E questo per evitare proprio questo costante movimento, in cui si giustificano i salari infimi locali con la concorrenza internazionale di Paesi dove la gente può lavorare a 5 euro allora. E il tutto, purtroppo, senza tenere conto di quell’altro elemento determinante per fare un vero bilancio, e cioè il costo della vita!
Le aziende legittimano discorsi legati alla concorrenza internazionale, minacciando delocalizzazioni o addirittura partenze, ma mai rapportano questa dinamica col costo della vita.
Ecco perché poi ci tocca sentire discorsi come quello di Stefano Modenini di AITI, secondo cui gli aiuti sociali servono a compensare i salari bassi: e il brutto presupposto è quello di un’economia che detta legge e che è più forte dello Stato.
Infatti il libero mercato non si regola da solo, ma si muove secondo chiare regole di sfruttamento: chi ha soldi può permettersi le schiere di fiduciarie e avvocati preposti all’”ottimizzazione fiscale”, quella che ad esempio iscrive oltre mille ditte nel database di Panama Papers create dalla sola zona del Luganese, ma anche quella che fa spostare il domicilio di Belen in Ticino perché è bello il paesaggio, ma anche perché si pagano meno tasse.
Tutte pratiche che evidentemente un cittadino o una azienda normale non possono fare. Per cui notiamo che già per quanto riguarda la disponibilità di mezzi nel rapportarsi all’economia c’è una sproporzione non democratica: come dicevo nessun cittadino “normale” può permettersi certi servizi da parte di avvocati e fiduciarie per “ottimizzare” la propria posizione fiscale.
Così l’economia gioca solo al ribasso: sta qui finché vale la pena, poi si sposta dove ci sono condizioni migliori, e fiscali e purtroppo in base alla disponibilità di manodopera a basso costo: la delocalizzazione in Paesi dove la manodopera costa pochi euro è una pratica molto diffusa, che di fatto pone ogni Stato in una posizione di concorrenza rispetto all’intero mondo! Ed ecco perché non è possibile affrontare il problema dei salari e dell’economia in generale solo localmente: servono leggi internazionali che fermino questo costante gioco al ribasso e soprattutto applicato all’intero mondo.
E questo per evitare proprio questo costante movimento, in cui si giustificano i salari infimi locali con la concorrenza internazionale di Paesi dove la gente può lavorare a 5 euro allora. E il tutto, purtroppo, senza tenere conto di quell’altro elemento determinante per fare un vero bilancio, e cioè il costo della vita!
Le aziende legittimano discorsi legati alla concorrenza internazionale, minacciando delocalizzazioni o addirittura partenze, ma mai rapportano questa dinamica col costo della vita.
Ecco perché poi ci tocca sentire discorsi come quello di Stefano Modenini di AITI, secondo cui gli aiuti sociali servono a compensare i salari bassi: e il brutto presupposto è quello di un’economia che detta legge e che è più forte dello Stato.
Quindi? Quindi sarebbe ora di accendere i riflettori
su quelle aree buie che sono abitate dai ricchi che diventano sempre
più ricchi, dalle multinazionali che dominano tutto, comprando startup a
suon di miliardi per evitare concorrenza, e vendendo poi un telefonino
da 300 franchi a più di mille...
È il momento del coraggio, mediatico soprattutto, per spezzare questa catena di abitudine per cui gli Stati e le civiltà vivano schiavi delle briciole di un’economia così potente da dettare le leggi su tutto il pianeta.
Eppure a me è sfuggito il giorno in cui l’umanità ha deciso che lo scopo della propria vita fosse fare soldi e non fare una civiltà.
È il momento del coraggio, mediatico soprattutto, per spezzare questa catena di abitudine per cui gli Stati e le civiltà vivano schiavi delle briciole di un’economia così potente da dettare le leggi su tutto il pianeta.
Eppure a me è sfuggito il giorno in cui l’umanità ha deciso che lo scopo della propria vita fosse fare soldi e non fare una civiltà.
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