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I media della post-verità "Made in Italy"

Ormai da un po’ di tempo sentiamo parlare di “post verità”, cioè quel fenomeno per cui una realtà di riferimento non esiste più – o semplicemente non viene presa in considerazione – e il confronto si gioca tutto sulla forza della comunicazione e non sul contenuto, spesso non verificato o addirittura falsificato ad hoc. E questo fenomeno è reale: lo è nella politica, dove di fronte a una realtà catastrofica si reagisce negando, smussando e parlando di “percezioni”; lo è nell’economia, dove i principi economici oscurano tutti i concetti di sostenibilità e di equilibrio che la realtà invece suggerisce, e la “post-verità” è arrivata anche nei media, ma qui in due forme ben distinte.

La prima è quella che prende come riferimento la politica, l’economia, i suoi attori ma non il mondo per raccontarci la realtà, ed è quella che c’è ovunque: così il media che guarda una determinata area politica ci dirà una cosa, quello che ne guarda un’altra ci dirà altro, mentre media capaci di guardare il mondo senza passare dal filtro degli attori che ce la raccontano esistono sempre meno.
Però questa forma si limita a confondere il quadro economico e politico del territorio, ma non intacca la correttezza della cronaca in quanto tale: gli eventi vengono raccontati così come sono e nessuno ci dice che Borradori è un rettiliano, o che un meteorite sta per colpire Lugano se non è vero, o che Trump ha allertato 150mila riservisti se non è vero; come anche non si pubblicano documenti falsi per sostenere questo o quel complotto…
Poi, invece, c’è il secondo livello: quello in cui la comunicazione è diventata spettacolo e le notizie non partono da una realtà, ma sono costruite ad hoc per incollarsi all’emotività della massa ed essere “consumate”. Proprio come fossero prodotti di marketing, le notizie vengono confezionate come merce di consumo emotivo: un po’ di bufale per chi odia gli immigrati, un po’ per chi è intrippato dai complotti, un po’ per quelli delle grandi catastrofi e della fine del mondo, e così via, rendendo di fatto un mondo che non esiste, composto essenzialmente di “pillole” emotive da consumare in massa e in fretta.
Perché fanno questo? Per i soldi evidentemente: i siti di bufale tirano molto e hanno molta pubblicità, dunque se il giornalismo viene trattato con l’occhio del marketing, lo scenario che esce è esattamente questo. Poi evidentemente avere una popolazione confusa e incapace di trovare la realtà in mezzo al caos è di nuovo un elemento a favore del potere!
Ebbene, perché dico questo? Lo dico perché il Ticino, fino a non molto tempo fa, non aveva ancora questa seconda forma di post realtà. Ma a furia di accogliere pessime abitudini dall’Italia, ora anche noi ci vediamo confrontati con questo fenomeno: il più grande esponente qui è il CEO del CdT Marcello Foa, al quale è già scappata la frizione un paio di volte, tanto da portare addirittura Pontiggia a scusarsi per l’ultima bufalona sul prontuario germanico…
E a me dispiace perché sono profondamente convinto che il Ticino fosse eticamente molto migliore rispetto all’Italia, ma dalla “benvenuta impresa” in avanti, qui siamo stati “invasi” da personaggi portatori di questa mitomania sprezzante del mondo e di chi lo abita.
Fenomeno che ho vissuto in prima persona quando facevo l’informatico: fiduciarie, avvocati, faccendieri e condannati (compresi quelli illustri di Tangentopoli!) sono partiti alla conquista del Ticino, portando quel modus operandi che ha distrutto l’Italia.
Tutte “facce da Foa”: gentili, divertenti, curati e ben vestiti, ma bambi fino al midollo!






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