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Il suicidio assistito può essere un business?



Seguitemi perché oggi proverò a costruire un puzzle logico: proverò a legare tra di loro una serie di elementi con delle logiche e alla fine proverò a sovrapporre il quadro alla realtà per vedere se ci ho azzeccato, o per lo meno se ci può stare. Parliamo di suicidio assistito e partiamo dalla proposta di Michela Delcò Petralli di poter eseguire tale pratica direttamente all’interno degli ospedali o delle case anziani, così da evitare uno spostamento – traumatico dico io – del malato in una nuova struttura. E probabilmente anche per contenere i costi, visto che in questo caso si eviterebbero il trasporto e l’utilizzo di altri spazi, strumenti e mezzi. Naturalmente però la proposta è stata bocciata all’unanimità dalla nostra Commissione sanitaria. Perché?

La risposta che mi sono dato è: per soldi! Pensando infatti alla bieca configurazione dell’anima di molti, non ho potuto fare a meno di pensare al possibile e redditizio business delle morti assistite. Così mi sono messo a discutere un po’ sulle bacheche di Facebook per capire se questa pratica possa davvero diventare un altro scaltro business in mano ai privati: mi è stato detto che tale servizio non può essere svolto a scopo di lucro, dunque ho lasciato la faccenda in sospeso. Fino a oggi…

Leggo oggi su diversi portali la fantastica notizia del grande boom dei suicidi assistiti in Ticino: triplicati in un anno! Poi scopro che secondo un’inchiesta di Ticinolive a fornire tale pratica sarebbe, oltre a Exit, l’associazione Liberty Life di Riva San Vitale, che alla modica cifra di 14mila franchi, in un appartamento di Melano, aiuterebbe i bisognosi a passare a miglior vita.
Come dicevo c’è anche l’associazione Exit, che però il servizio lo offre a 7mila franchi, di cui però se ne accolla la metà. Così che il costo della dipartita sia per l’utente di 3'500 franchi o addirittura nullo se il soggetto risulta iscritto all’associazione da almeno tre anni.
E qui mi si accende la lampadina, perché da una parte si sborsano 14mila franchi mentre dall’altra solo 7mila (costo effettivo)?  Mi risulta infatti difficile accettare che nei meandri dei lati oscuri delle associazioni non si celi il preciso intento di fare di quest’arte un business, tutt’altro che non a scopo di lucro. Certo: i guadagni si chiameranno “spese” o “stipendi” o “noleggi”, ma saranno guadagni!

E ora torno un passo indietro, citando la motivazione portata dalla Commissione sanitaria per bocciare la proposta della Delcò Petralli. Il buon Morisoli – soprannominato ora Muorisoli – afferma infatti che “non esiste un diritto morale al suicidio, perché la vita non è un bene di cui disporre in modo incondizionato, nemmeno in situazioni estreme”. Frase che alla luce dei fatti riformulerei così: “Non esiste un diritto morale al suicidio, a meno che tu non abbia 14mila franchi da mettere lì, perché la vita non è un bene di cui disporre in modo incondizionato, se sei povero, ma lo è per chi la vita la vuole tenere intrappolata in persone ridotte a vegetali e imbottite di farmaci per un po’ di anni nelle strutture pubbliche – perché rende –, per poi passarla ad associazioni “non a scopo di lucro” che in uno squallido appartamento di una palazzina ti conducono a miglior vita alla modica cifra di 14mila franchi”.

Ecco, forse, purtroppo, bisognerebbe iniziare a pensare il tema del suicidio assistito come il solito scontro tra la visione dell’anima e quella del borsellino: perché purtroppo gli sciacalli sembra che ci siano ovunque: negli appartamenti di Melano, ma anche nelle strutture pubbliche, mi pare.






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