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Non puoi accelerare il tempo se non muti più velocemente anche tu!



C’è una trama forte che in questo momento occupa il nostro presente e la nostra storia: è la crisi. È quell’entità che erroneamente ha preso consistenza in quanto tale, ma che invece dovrebbe essere riportata alla sua definizione originale, e cioè la conseguenza dell’operato dell’uomo all’interno dell’economia! E facendo così non solo di rimette la causa al centro del problema, ma anche si spezza quell’assioma da cui tutti, nell’affrontare il mondo e le proprie scelte, partono, e cioè quell’assunzione rassegnata della crisi e delle sue naturali conseguente: ridimensionamenti, tagli e licenziamenti.

Infatti non so se l’avete notato, ma tutta la nostra cronaca, dal preventivo cantonale alla RSI, dà per scontata la crisi come fosse una inevitabile componente strutturale del sistema. E dunque le scelte paiono inevitabili, perché proprio i presupposti paiono inevitabili.
E invece? E invece, in un mercato di generale contrazione e soprattutto dove tutti gli “avversari” hanno preso la via dei tagli e dei ridimensionamenti depotenziando di fatto le aziende, è proprio il momento propizio per muoversi esattamente nella direzione opposta, e cioè potenziando la struttura e la sua offerta. Ed è facile da capire: se ad esempio in Formula 1 tutti decidessero di dimezzare il budget dedicato allo sviluppo perché c’è crisi e invece un team facesse l’esatto opposto, salvo errori grossolani quel team vincerebbe il campionato, e di conseguenze avrebbe più sponsor, venderebbe più auto stradali e via dicendo.
Ed è esattamente quello che va fatto ora, ma evidentemente in maniera intelligente. Ed è il momento, perché come forse in molti staranno iniziando ad accorgersi, il nostro presente è in piena rivoluzione mediatica, che però è in stallo perché le nuove tecnologie e le nuove logiche pronte ad aprire una grande nuova fetta di mondo all’interno della comunicazione sono lì sospese nel limbo delle possibilità, ma nessuno ancora ha capito come integrarle davvero in una struttura multimediale nuova, completa e multilayer.
Essenzialmente i motivi sono molti, e uno determinante è in fondo una scarsa conoscenza “orizzontale” ed espansa della tecnologia, soprattutto da parte delle figure oggi decisionali all’interno delle aziende, arrivate lì dopo lunga carriera e dunque non più giovanissimi e spesso abituati a un unico sistema e a una unica visione da troppi anni. Ma il motivo forse principale è l’incapacità di vedere strumenti come il Web o come i singoli servizi offerti (social, servizi di comunicazione, canali youtube e affini) non come pezzi di Lego, ma di considerarli come oggetti o spazi finiti.
Mi spiego. Fino all’arrivo del computer noi eravamo abituati a considerare gli oggetti per la loro funzione: un cacciavite era un cacciavite, un televisore un televisore, un telefono un telefono, una radio una radio e via dicendo… Oggi invece si può prendere in mano un tablet e trasformarlo in una TV, con l’APP Zattoo ad esempio; o trasformarlo in una radio con una APP per radio online; o ancora con Skype può essere un telefono, e ancora può essere una macchina fotografica, una macchina da scrivere e chi più ne… APP più ne metta!
E questo concetto è fondamentale per inaugurare il concetto di costruire logiche sulle logiche: Facebook è il social per postare cazzate sulle bacheche, ma è anche uno spazio contenente più spazi relazionabili tra loro, dove in ognuno si possono pubblicare in sequenza testi, foto o video; con altri spazi sequenziali sotto a ogni post per inserire altri testi, foto o video; il tutto dotato di criteri di scelta o gradimento dati dai “mi piace”; il tutto con anche la possibilità di trasmettere in tempo reale con la webcam, ad esempio. E con queste logiche, tanto per dirne una, si possono costruire infiniti giochi di società, ma anche ad esempio interagire, sempre su strutture logiche aggiuntive, con media, politica, ma anche territorio, commercio, turismo, lavoro… E questo solo con Facebook: se poi si pensa di integrare tutto, allora è come essere all’asilo da quanto le possibilità si aprono!
Però è difficile, perché in un mondo in cui il tempo si è accelerato tanto da far durare le generazioni non più di 5-7 anni, la maggior parte delle istituzioni e delle aziende è diretta da persone che secondo l’anagrafe moderna avrebbero tra i 120 e i 170 anni.
Ed è questo il problema, il solo grande problema: non puoi accelerare il tempo se non muti più velocemente anche tu. Ma questo il potere fa fatica a digerirlo e dunque a concederlo.









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