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La politica che parla di informatica e di telelavoro: un'occasione persa per...

Oggi prendo così tanti piccioni con una fava che nemmeno so se riuscirò a portarmeli a casa tutti. Parliamo di informatica, di una scienza potentissima e sottovalutata in quanto tale, soprattutto per le sue aperture sul resto del mondo e sul resto delle scienze. Parliamo di un mondo che amo tantissimo e che conosco piuttosto bene in certe aree e su certi layer: diciamo abbastanza bene per affrontare il vero tema sul piatto oggi, e cioè la politica che parla di informatica. Grazie a questo esempio potrò finalmente dimostrarvi che è impossibile costruire un mondo che funziona se non si conoscono bene gli elementi che lo compongono. L'elemento è l'informatica e gli attori sono il PLR, con Alessandro Spano, e Sergio Savoia, con se stesso. Entrambi parlano della cosa che, in informatica, conosco meglio: il telelavoro! Quella cosa che appena mi è passata davanti quasi vent'anni fa l'ho acchiappata subito, perché in lei ho riconosciuto un pezzo di futuro potentissimo, se usato bene. Ma anche uno strumento di devastazione economica e sociale se usato male. A me spiace prendermela con un "nativo digitale" e con un sostenitore dello sviluppo sostenibile, ma è ora di mettere bene in risalto quanto la politica consideri poco quella che è la struttura portante della società "civilizzata", e la tratti come fosse uno strumento: una macchina da scrivere, una TV o poco più. Ragione per cui, trattando l'informatica come fosse una TV, si rischia di pensare di conoscerla e di saperla usare, e anche di saperla collocare correttamente negli scenari e saperne tracciare le relazioni con essi. Invece non è così: sia Savoia sia Spano fanno il loro discorso sul telelavoro vedendo solo due delle tre parti che lo compongono. Quindi li aiuto, perché è importante: si rischia la catastrofe per una svista, o magari anche solo per supponenza.



Dunque, che cos'è il telelavoro? Beh, cominciamo a capire la parola, composta da "tele" e da "lavoro". La prima significa "da lontano", mentre la seconda indica un'attività umana in fase di mutazione genetica: la mutazione che le permetterà di levare dal suo intrinseco il gene della dignità.
Fatto sta che telelavoro significa proprio lavorare da lontano. Evidentemente un falegname, un pittore, un meccanico e chiunque abbia a che fare con il lavoro manuale potrà beneficiarne poco o non tantisimo, ma per chi effettua operazioni che possono essere svolte con un computer (o con un telefono, sob!), ecco, allora il telelavoro equivale esattamente al teletrasposto: il teletrasporto attravero quel mondo virtuale che è Internet!

Tecnicamente il telelavoro, oggi, si chiama "desktop remoto" o "applicazioni remote" e chiunque di voi abbia già usato il cloud di Microsoft, OneDrive, e abbia ad esempio già scritto un testo, nel suo browser, con Word online, ecco, chi lo ha fatto ha usato il telelavoro: ha usato le applicazioni remote. Idem per chi ha usato Google Docs.

Ma a noi non interessa tanto la parte tecnica - per la prima parte del discorso - quanto piuttosto il concetto di teletrasporto! Quella magia che vi permette di recarvi sul posto di lavoro passando attraverso la rete, o di materializzarvi all'università per accederre al vostro materiale scolastico e lavorarci sopra, direte voi... Invece, io che sono un informatico, vi dico che è proprio l'opposto: non siete voi ad essere teletrasportati al lavoro, ma è il lavoro che è teletrasportato da voi!
E infatti qui vede bene Savoia quando vede in questa tecnologia la possibilità di assumere manodopera a bassisimo costo portando il lavoro che sta qui, in Ticino, da noi, in chissà quale parte del mondo per farlo svolgere da manodopera, appunto, a basso costo: e qui assegno un punto a Savoia su Spano, il quale almeno si è accorto che il problema non è il "frontalierato digitale" dei lavoratori, ma è quello del LAVORO! Ehehehe: l'ho sempre detto che Savoia non è stupido!
Invece l'altro, il nativo digitale, nonché uno dei numerosi vice presidenti dei GLRT, lui la frontiera non la passa: lui vuole farci guardare qui, alle grandi opportunità che il telelavoro potrebbe offrire al nostro Cantone: ed è vero! Ma non considerare le frontiere proprio in un mondo che le frontiere non le ha (ehm... non dovrebbe averne), come è l'Internet, bisogna proprio essere o un disonesto venduto all'economia (dopo capirete) o un  salame. Eheheheh: o tutti e due!

Adesso torniamo alla tecnica, perché dobbiamo capire materialmente cosa implica il "telelavoro": servono almeno un server, un client e una connessione a Internet da entrambi i lati. Dove il "server" è un computer che offre servizi a chi si connette, grande un po' di più di un computer, mentre il "client" può essere qualsiasi dispositivo capace di connettersi a Internet con un browser, quindi computer, tablet e smartphone.
E adesso uno con un po' di padronanza di logiche e relazioni capisce subito un sacco di implicazioni, tra cui la prima è questa:


Non è solo il lavoratore ad essere virtualmente mobile, ma lo è anche il lavoro!


Esatto: il "luogo di lavoro" può infatti ridursi a essere uno o più server in uno o più luoghi sparsi nell'universo di Internet! E con tecniche che ora cito ma non approfondisco come le VPN, i proxy, le linee dedicate e un po' di altre cose che non dico subito, il nostro "posto di lavoro" oltre a diventare virtuale diventa facilmente anche INVISIBILE!
Idem per quanto riguarda le tracce sul "client": con i dovuti accorgimenti è possibile trasformare il tablet usato dai bambini per giocare in un terminale per fare trading online, come pure il computer di una ditta di profumi può nascondere migliaia di altre identità, semplicemente aprendo un browser e connettendosi al... "posto di lavoro".

Quindi? Quindi certo: l'Internet ovunque è una bella cosa, ma se la implementiamo così è davvero LA FINE! Perché un contro è entrare in una ditta e requisire i server nel caso di un'inchiesta, per esempio, se i server sono qui, in Ticino, nella ditta in questione. Ma se i server non sono lì, nella ditta? Eh??? Mentre invece, avendo i server qui in Ticino, sarebbe addirittura facile individuare anche i "frontalieri virtuali" del lavoro. Ma sarebbe quasi impossibile ottenere risultati nella configurazione contraria!

Poi naturalmente, visto  che a muoversi virtualmente non sono solo i lavoratori, gli scenari sono apocalittici: ditta delle Seychelles che assume lavoratori cinesi per lavorare su server in India... Eheheheheh! Insomma: le scatole cinesi... virtuali!

Beh, la domanda è una sola: quando è che il nostro Governo porterà un  po' di informatici in... Governo?
















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