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SATIRA - Zanzare SWAT

Dalle mie antiche collaborazioni con la rivista Il Diavolo...


Avete mai avuto a che fare con una zanzara SWAT? Gli SWAT sono i corpi speciali della polizia americana, e le equivalenti zanzare sono quelle che ormai hanno superato, con l’adattamento fisico e l’astuzia, ogni misura umana per combatterle. Ebbene, il sottoscritto ne ha ospitata una per cinque giorni e cinque notti, insonni, passate seduto sul letto con la luce accesa e un rotolo nuovo di sacchi dei rifiuti tra le mani. L’avventura è finita questa mattina, alle 5.46, con l’uccisione della stessa a mani nude, e il sacrificio di una zona particolarmente bianca della parete.




PRIMO GIORNO

Ore 22 e 30 circa – È ora d’andare a nanna: solita ricognizione anti ragni e zanzare e tuffo sul comodo lettone.

Ore... tra la una e le due – Il sonno viene turbato da qualcosa: un incredibile prurito alla gamba sinistra. Ma il sonno riprende il sopravvento... Qualche minuto e il prurito si estende fino al piede sinistro. Ancora un po’ di nanna e... Anche il braccio sinistro prude, e il piede... pulsa!
Decido di svegliarmi e accendo la luce: ho un piede gonfio e rossiccio e mi prude maledettamente metà del corpo. Cerco segni di morsicature, ma non le trovo.

Ore due – Giro ricognitivo e soppressione di un paio di ragni sospetti. Poi di nuovo nanna.

Ore tre – Mi sveglio letteralmente martoriato e il piede è quasi viola. Nuovo giro ricognitivo, questa volta più approfondito: altro ragno, un paio di cose con le ali che solitamente non abbatto (però, questa volta, per sicurezza...) e nient’altro. Mi prude tutto, tanto che penso a un’allergia: “Sarà l’uva che ho mangiato oggi... Non lo faccio più. Giuro!”. E torno a letto.

SECONDO GIORNO

Ore una circa – Ricognizione (un ragno e uno scorpione sul pianerottolo) e nanna.

Ore tre circa – Mi sveglio: gamba destra rossa e prurito. Sono colto dallo sconforto, ma mi tiro in piedi e setaccio di nuovo tutta la casa. Ma niente. La tesi dell’allergia prende piede, ma si affaccia anche quella dello stress: “Sarà che sono stressato e come mi addormento il corpo si rilassa e... collassa”. Mi riprometto di riposare di più e torno a dormire.

Ore 8.04 – Suona la sveglia: apro gli occhi a fatica e capisco subito che qualcosa non va. E per la precisione sento una strana pesantezza alla faccia. Mi dirigo allo specchio e scopro che metà della mia mascella si è inspiegabilmente riempita di elio. E fa male. Ma per la posizione del dolore penso a un ascesso, e la teoria dello stress è ormai la più gettonata: “Ecco, sto andando a puttane! Domani prendo vacanza e passo un giorno al fiume a pancia all’aria...”.



TERZO GIORNO

Ore 20  – Vado a dormire senza nemmeno la ricognizione, triste, ma con la speranza che una bella dormita avrebbe migliorato le cose. Anche se nel frattempo la mia faccia era addirittura peggiorata.

Ore tre circa – Mi sveglio con entrambe le gambe che prudono da paura e mi viene da piangere. Penso per un po’, poi mi alzo e cambio tutte le lenzuola del letto: magari sono allergico al rosa... Poi torno a dormire.

Ore cinque circa – Sono in dormiveglia perché le gambe prudono e il piede si è gonfiato di nuovo e fa male. E mentre penso seriamente al suicidio, un piccolo prurito al gomito cattura la mia attenzione. Come un fulmine accendo la luce, e per un decimo di secondo vedo un piccolo oggetto volante non identificato che sparisce nell’ombra dell’altro locale. Non sentendomi in condizione di iniziare una caccia all’insetto, semplicemente chiudo la porta, urlo un bel “VAFFANCULO!” alla... cosa e mi rituffo a letto. E la mattina, me ne vado lasciando tutte le finestre aperte.


QUARTO GIORNO

Ore 23 circa – Sono di buon umore, perché non ho un ascesso e nemmeno sto rendendo l’anima. Il mio proverbiale ottimismo mi suggerisce poi che durante la giornata, con tutte le finestre aperte, l’insetto avrebbe dovuto andarsene. Eppoi, applicando il calcolo delle probabilità, vado a dormire chiudendo la porta della camera, così, nel caso in cui non se ne fosse andato, avrebbe solo il 25% di possibilità di trovarsi proprio in camera (per i più scrupolosi della matematica: ho quattro locali).

Ore due circa – Scopro che alle zanzare non gliene fotte un cazzo del calcolo delle probabilità, e mi sveglio con la chiappa destra in fiamme. I nervi saltano: schizzo in piedi, chiudo la finestra in modo da sigillare la camera e, soprattutto, da non svegliare i vicini mentre dico a quella merdina con le ali quello che si merita. Scomodando, a tratti, anche il Supremo.
Poi inizia la perlustrazione a tappeto: scanning delle pareti bianche, poi controllo approfondito di tutte le superfici scure. Ma niente. Penso un po’, ma troppo poco, poi inizio a spostare i mobili, con un rotolo nuovo di sacchi per rifiuti in mano: l’arma più contundente che ho in casa.
Ma l’insetto non si palesa, e nel frattempo, chiudendo la finestra, la temperatura è salita oltre i trenta gradi.
Sono triste, cazzo: è notte fonda, ho sonno e mi prude dappertutto. Per cui riapro tutto (porte e finestre), mi infilo un pigiama e mi rannicchio sotto le coperte, lasciando scoperto solo naso e orecchie. Fa un caldo boia, ma alla fine mi addormento. E sono le tre passate.

Ore quattro circa – Mi sveglio perché mi prude un orecchio, e mentre non riesco a trattenere le lacrime inizio a bestemmiare come una mitragliatrice M60. Una volta sfogato opto per questa tattica: la bestia appare solo al buio, dunque decido per un’imboscata a... intermittenza. E cioè spegnendo e riaccendendo la luce ad intervalli di trenta secondi, sempre con il rotolo di sacchi in mano.

Ore cinque circa – Ho acceso e spento la luce almeno un centinaio di volte, ma l’insetto ancora non si è visto. E a quel punto inizio a pensare a un ipotetico vicino, che da un’ora vede la luce della mia camera accendersi e spegnersi a intermittenza, e nella migliore delle ipotesi avrà pensato a qualche evoluta pratica sadomaso...

Ore cinque e dieci – Quando ormai mi sto per decidere ad andare a dormire in ufficio, alzo gli occhi al cielo (non vi dico perché...) e sul soffitto vedo l’animale: una zanzara! Femmina (sì perché i maschi non mordono!), più grande delle altre, nera come la pece. E con una proboscide (quella che usano per farti il salasso) grossa e lunga: in pratica il Rocco Siffredi delle zanzare!
È proprio sopra il letto, e senza pensarci due volte punto il piede sul materasso e mi sferro contro di lei. Ma l’impeto sovrasta la mia rete ortopedica, e una delle doghe esce dalle guide, facendomi ricadere a cinquanta centimetri da quella troiona di una zanzara di merda!
E per di più mi si è materializzata la faccia di quello stronzo che mi ha venduto il letto, e soprattutto la sua rassicurante affermazione: “Davvero indistruttibile! Mi creda!”. Vaffanculo!
Riprovo l’azione, questa volta mettendo il piede sul bordo in ferro del letto. Mi getto sull’animale bastardo e sferro un colpo di... sacchi alla Bruce Lee. Ma invece di trovare la sperata macchia rossa, mi accordo che l’insetto è sparito: è quattro metri più in là...
E adesso dovete fare uno sforzo d’astrazione: immaginate uno che davvero dà fuori e che con un rotolo di sacchi per rifiuti in mano insegue una zanzara per tutta la casa, urlando e sferrando colpi verso un puntino nero supersonico, che rivela velocità e maneggevolezza da far invidia a un FA-18. Ma niente di fatto, se non un dolore lancinante al piede con cui vado a schiacciare una corda di ricambio del mio basso elettrico, finita per terra non so come, con l’estremità in su.
E qui mi deprimo, perché penso che una fottutissima zanzara, con un cervello almeno mille volte più piccolo del mio, mi sta tenendo testa da ben quattro giorni. Con un punteggio di almeno quindici a zero per lei. Puttana!

Ore sette – Interrompo la caccia, faccio una doccia e vado al lavoro. Imprecando.
Giornataccia, perché il megavirus anti-Microsoft è nel suo periodo di massimo splendore. E le chiamate alla nostra ditta sono parecchie. Per cui me ne vado in giro per tutta la giornata, con un umore pessimo e la faccia gonfia e semi-parallizzata, sembrando una cavia per esprimenti sulle conseguenze per l’uomo di scariche elettriche a tensione elevata.


QUINTO GIORNO

Ore... mezzanotte – Prego. Quando davvero non so più cosa fare, prego. Poi vado a letto senza alcuna precauzione, pronto al flagello.

Ore quattro – Non mi sono ancora addormentato, perché sono incazzato nero e, ciliegina sulla torta, tormentato dall’idea che la piccola stronza possa pungermi l’uccello (lo so che è una cazzata, ma non vi capita mai di farvi venire le paranoie?). Visto soprattutto che in precedenza aveva ampiamente dimostrato di saper trapassare senza problemi anche un paio di mutande...
Relativizzo e penso che in fondo, visto come gira ultimamente, una zanzara che mi succhia l’uccello sarebbe già un inizio!
La considerazione mi rilassa e mi dà il coraggio per provare a dormire.

Ore 5.43 – Ancora non dormo, ma in compenso sento un ronzio sospetto. Vicino all’orecchio. Naturalmente parte una sventola rabbiosa che quasi mi amputa la bandella, ma il dolore ormai non lo sento più: sono pronto al sacrificio! Accendo la luce e, seduto sul letto schiena al muro, inizio a guardarmi in giro: destra, sinistra, sopra, sotto... ma niente.

Ore 5.46 – Ormai i miei colloqui con il Signore mi sono sicuramente costati il paradiso. E quando sto per lasciarmi cadere sul letto con l’idea di trattenere il respiro fino allo svenimento, mi viene da girarmi. E proprio dietro la testa, a cinque centimetri, sul muro, la vedo! E scopro una cosa: le zanzare SWAT sanno dove abbiamo gli occhi, e si posizionano sempre dietro!
Comunque, senza perdere ulteriore tempo, sferro una potente manata verso il muro (facendomi un male cane)! Resto lì qualche secondo, con la mano dolorante incollata al muro e il terrore di toglierla e trovare la parete ancora bianca.
La levo piano e mi spuntano le lacrime quando i miei occhi vedono una grossa, rossa, meravigliosa macchia di sangue e budella spalmata sulla parete bianca! Sono davvero commosso: è la più bella macchia di sangue che abbia mai visto, con un diametro di almeno un centimetro, rosso fuoco!
La guardo, sorrido, sussurro un “vaffanculo”, e torno a dormire.





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