Herbie Hancock: il linguaggio della musica con i suoni di ogni presente. Da cinquant'anni a questa parte...
Ci sono quelli bravi; ci sono quelli bravissimi; ci sono i fuoriclasse... Ma poi ci sono gli Dèi: quelli veri! Ho pensato molto riguardo a quale pianista presentare per primo: c'è Glenn Gould, c'è Keith Jarrett, ce ne sono molti, ma se devo scegliere con chi iniziare devo per forza parlarvi di Herbie Hancock. Perché non c'è pianista che come lui abbia percorso cinquant'anni di storia della musica, spaziando e partecipando così tanto alla sua scrittura. Ho stampata sempre nella mente una sua citazione, quella scritta all'interno del disco "Jaco Pastorius" del 1976: "Il compito di un musicista deve essere quello di interpretare la musica con i suoni del proprio tempo". Cosa che lui ha fatto in pieno: dal quintetto di Miles Davis, al funk degli Head Hunters, dalla musica elettronica anni '80 di "Future shock" alle modernità di "Future2Future". O ancora album succulenti e magnificamente curati come "Possibilities" o vette forse irraggiungibili come "River: The Joni Letters".
La biografia ve l'andate a leggere su Wikipedia, meglio nella versione in inglese, mentre qui vorrei parlarvi di musica. Potrei partire prima, ma faremmo notte fonda, quindi posizioniamoci nel 1967 durante un live del quintetto di Miles Davis. Dunque parliamo di Wayne Shorter al sax, di Ron Carter al contrbbasso, di Tony Williams alla batteria e naturalmente di Hancock al pianoforte. Sono musicisti di cui vi parlerò in lungo e in largo, soprattutto di Wayne Shorter, un altro Dio dell'Olimpo della musica moderna. Ma intanto vi invito ad ascoltare, dal filmato qui sotto, quello che succede ad esempio dal quarto minuto in avanti: vi ricordo che siamo nel 1967, e il solo di Hancock parte nelle atmosfere che potrebbero benissimo essere quelle "nordiche" tanto in voga oggi. E anche quando l'assolo entra nello swing i fraseggi sono modernissimi. Per non parlare delle sonorità e dell'approccio al pezzo subito seguente: "Footprints". Sono sonorità che a quell'epoca non aveva nessuno in quel modo, così ampio, così aperto... Beh, ascoltatelo tutto, magari: non è tempo perso. Anzi, si tratta di una performance notevole!
Adesso spostiamoci nel 1974, dopo Miles all'Isola di White nel 1969 e l'introduzione, direi a forza, dell'elettrico nel jazz. Hancock se non sbaglio è un ingegnere elettronico e smanetta bene le tastiere, ragione per cui nel 1973 esce il disco "Head Hunters" con l'omonima formazione: ed ecco forse la miglior band di funk elettrico per musicisti degli anni '70. Ripeto, per musicisti, perché proprio in quegli anni è nata la disco music e un tipo di funk decisamente più commerciale. Ma vi invito a un ascolto ancora più fine, perché Hancock è precursore di tante cose. Come ad esempio dell'acid jazz. Mettetevi al nono minuto e ditemi se quello che sentite non fa le scarpe a qualsiasi band di acid jazz degli anni novanta!
Sempre degli anni '70, del 1976 per la precisione, non posso omettere un brano dall'omonimo LP del bassista Jaco Pastorius. È fusion, fatta all'ennesima potenza, con il miglior bassista del mondo all'epoca! Notate l'assolo di Hancock e il crescendo: ecco, questa è musica! Se la fate sentire a qualcuno, andate tranquilli: potete dire che è musica, quella vera!
Altri otto anni e siamo nel 1984. La gente è felice e inconsapevole: guarda Ghostbuster, ascolta Michael Jackson e va nelle discoteche a farsi ipnotizzare dalle luci, dai colori e da tutto ciò che è sgargiante. Insomma, quando l'abito ha iniziato a valere più del monaco...
E Hancock c'era: eccome che c'era! Con l'abito, ma anche col monaco: con "Rockit", ad esempio. E ascoltate il finale: malgrado il contenitore, riusciva a farci stare anche qualche momento di contenuto. Bravo, viste le premesse!
Rimaniamo negli anni '80, perché in mezzo a tanto pattume succedevano ancora cose pregevoli. Come ad esempio il film "Round about Midnight": un film sulla vita di un musicista, Dale Turner, interpretato da musicisti. Insomma, non Charlton Heston che fa Mosè, ma Mosè che fa... Mosè! Quello sotto è un estratto del film, di cui Hancock ha composto molte musiche e nel quale appare appunto in questo stralcio. Il sassofonista è Dexter Gordon e c'è John McLaughlin alla chitarra. E suonano davvero! Suonano uno standard jazz dal nome "Body and Soul": corpo e anima! E qui si sente...
Nel 1995 è invece la volta di "The New Standards", un disco in cui le nuove canzoni popolari di riferimento vengono trasformate in brani jazz. Qui sotto vi propongo un pezzo dei Beatles, "Norvegian Wood". Cantato dagli scarafaggi fa un effetto, suonato da Hancock, Brecker e Scofield ne fa un altro. Ma la base è la stessa, arricchita però dell'ampiezza orizzontale, verticale e temporale di un luogo come il jazz.
E siamo negli anni duemila, nel 2005: Hancock ha 65 anni e sforna un lavoro come "Possibilities". Va cioè a prendere artisti provenienti essenzialmente dal pop, anche da quello più commerciale, e gli confeziona attorno sonorità e arrangiamenti così belli da farmi addirittura, delle volte, versare qualche lacrima. Non so se per la bellezza della musica o per le quantità di cagate che gli artisti in questione hanno fatto al di fuori di questo progetto... Vi propongo prima un pezzo con il chitarrista e cantante Jonny Lang e con Joss Stone, per il soul e per il crescendo della band e dei fiati sul finale. E anche perché qui i due ospiti sono davvero ispirati! Poi uno con ospite niente meno che Cristina Aguilera...
Sempre anni duemila perché non posso tralasciare "River: The Joni Letters", un tributo a quella magnifica cantante, compositrice e musicista che è Joni Mitchell. Ascoltatevi tutto il disco, perché sempre con il principio di "Possibilities", Hancock è andato a reclutare altri cantanti e... boom: quanta musica! Una su tutti la versione di "River" cantata da Corinne Bailey Rae: il primo brano qui sotto. Ascoltate e riascoltate questa voce così sorridente: rende felici! Come secondo, invece, c'è un pezzo con Tina Turner, proprio lei! Un'inimmaginabile Tina Turner per chi ne conosce solo la versione "pop"...
E per i 70 anni si è regalato "The Imagine Project": sempre cantanti, sempre musica "pop", ma che cantanti e che musica. Vi lascio con "Space Captain", perché è un bel pezzo, perché Susan Tedeschi è una forza e perché si divertono da morire. Come spero anche voi nell'ascoltarlo.
Ma ricordatevi: Herbie Hancock è il pianista!
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