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La visione di Steve Jobs

Dalle mie collaborazioni con il Blog di Sergio Savoia...


Inizio oggi un viaggio lungo: quello sui protagonisti dell’informatica. L’informatica che conosciamo tutti e che serve a tutti: quella che parte dal personal computer. Però, tanto per saperlo, sappiate che… Lei arriva da molto prima. Oggi apriamo OneDrive e possiamo lavorare con Word Online sui nostri documenti da qualsiasi computer dotato di Internet e di un browser, ma siamo partiti negli anni ottanta da una scatoletta con qualche kilobyte di RAM che si connetteva con niente, mentre nelle aziende si usavano già sistemi ad esempio come l’AS/400 di IBM: un potente server al quale si connettevano dei terminali “stupidi”, esattamente quanto un personal computer con un browser. Dunque nulla di nuovo, se non la visione di come portare il tutto in tutto il mondo e a tutta la gente. E qui arriva il primo protagonista del nostro viaggio: Steve Jobs.



Certo: se si parla di visioni non si può non partire da Jobs, che quando negli ashram si pigliava gli acidi deve averne avute parecchie! Fu infatti Jobs a dire questo, quando parlando di Bill Gates disse che sarebbe stato un uomo con vedute più ampie se avesse avuto esperienze simili. Non sono nemmeno un po’ d’accordo, ma ci vorranno mesi per dimostrarlo…
E comunque, se si vuole parlare di Apple bisogna parlare di Steve Jobs. E soprattutto bisogna parlare di un visionario, ma nel vero senso della parola. È una teoria tutta mia, ma ho delle prove a sostegno. La tesi è che vivendo in un ashram indiano e prendendo acidi le visioni ce le hai davvero: oggi riusciamo a registrare gli echi del Big Bang avvenuto 13.7 miliardi di anni fa; vuoi che con un acido non vedi avanti di vent’anni??
Ed ecco la mia tesi: cliccando sull’immagine vedrete un Mac Classic II, uno dei primi Mac, un iPod e un iPhone. La tesi è questa: il fattone in trip ha visto un iPod e intuito un iPhone! Non notate la somiglianza? E in fondo perché no? Nel 1870 Jules Verne scriveva 20'000 leghe sotto i mari e i sottomarini mica c’erano ancora. Come pure, nel 1870, il proibizionismo su determinate droghe mica c’era ancora. Insomma: vista così sarebbe più facile spiegare la componente mistica legata a Apple. Ma anche renderebbe giustizia al Macintosh: il prototipo di un iPhone! Certo, mai un vero computer, ma il cammino necessario per creare la serie di iCosi: iPad, iPod e iPhone.
Jobs era un figo, un “io” dominante, dunque per tipologia leggermente orientato alla creazione. Ma creatore di se stesso, come ogni “io”: di uno specchio in cui guardarsi. E infatti “Mac” in inglese significa individuo. Jobs nel Mac ha visto se stesso e soprattutto ha umanizzato il computer: gli ha dato un’estetica e un nome, dunque un carattere, e si è preoccupato della comunicazione tra lui, il tipo, il Mac, e l’utente, rendendo semplice una cosa complicata. Jobs è l’inventore del computer semplice! Capite? “Computer” e “semplice”: due parole che nel mondo PC non sono mai state vicine! Almeno fino a Windows 8.
Steve aveva conoscenze tipografiche e se analizzate da questo punto di vista il sistema operativo Apple capite quanto vantaggio avesse nell’interfaccia e nella chiarezza rispetto a qualsiasi altro sistema. Jobs, sebbene prendendo da Xerox la genialata del mouse, è stato il primo a dedicarsi seriamente alla comunicazione tra l’uomo e il computer. Nella stessa direzione, quella in fondo della facilità, era la possibilità di connettere qualche Mac tra loro e qualche periferica proprietaria con una facilità inaudita! Nel mondo dei PC non era proprio la stessa cosa, soprattutto finché non si è affermato il TCP/IP come protocollo standard per la comunicazione nelle reti locali e in Internet.
Apro una parentesi darwiniana sui protocolli: all’inizio erano molti; ora per spaventarvi dico qualche nome, ma divertitevi solo a pronunciarlo perché non ci serve sapere davvero qualcosa di loro: c’era IPX/SPX, NetBIOS (poi NetBEUI) e c’era quello di quello lì, che il suo protocollo l’ha chiamato AppleTalk, convinto di trasformare il globo terrestre in una mela col morso. Invece alla fine, quando i computer da collegare non erano più due o tre, ma quelli di tutto il mondo, ha vinto il protocollo (suite per i più puntigliosi) che si chiamava TCP/IP, cioè Transmission Control Protocol / Internet Protocol. Cioè il protocollo di controllo delle trasmissioni, di Internet poi. Non il “discorso di Apple”! Davvero, pensateci!
Dunque il Mac è il PC facile, quello grazie al quale molta gente ha potuto avvicinarsi all’informatica(!), ma è soprattutto il prototipo della famiglia degli “i”, quegli apparecchi semplici e simpatici a cui Steve aveva pensato nell’ashram. Purtroppo una visione basata troppo sull’estetica e su un modello dominante non è mai stata vincente a lungo andare: oggi il Mac è un PC Intel a tutti gli effetti, con un sistema operativo basato su UNIX. E a Apple resta l’interfaccia utente, la scatola con la mela che lo contiene e il monitor: ormai troppo poco per parlare di un individuo, di un Mac… Personalmente sono dell’idea che Apple dovrebbe rilasciare il suo sistema operativo separatamente, esattamente come Linux, Windows e tutti gli altri.
Gli iCosi sono anche lì una visione, ma a mio avviso sono abbondantemente stati superati dagli apparecchi Android e per quanto mi riguarda anche da Windows Phone e Windows 8 sui tablet. Inoltre, Android e Windows sono Google e Microsoft: due specialisti di reti e di servizi legati ad esse; due specialisti delle connessioni tra e verso gli altri! Apple non ha dietro una struttura così perché ha pensato poco agli altri: il cloud e i servizi di Google e di Microsoft sono anni luce migliori rispetto al pacchetto offerto da Apple.
Insomma, la storia ci dirà, ma la mia idea è che in informatica il “noi”, alla fine, stravince sull”io”!

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